Digitalizzazione. Istruzioni per l’uso (vero) nella distribuzione edile

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La digitalizzazione nella distribuzione edile non è solo software, ma metodo: prima i processi, poi gli strumenti. Molti investimenti falliscono per mancanza di analisi, coinvolgimento e visione. Il vero cambiamento parte dalla cultura del miglioramento continuo, non dalla tecnologia affrettata

Prima la mappa, poi il navigatore!La vera rivoluzione è ripensare i processi, non digitalizzarli.

Prima di investire in tecnologia, occorre capire come funziona la propria azienda: dove si inceppa? Chi fa cosa? Quali passaggi possono essere ottimizzati o eliminati?

Nel settore della distribuzione edile, ho visto più file Excel che mattoni! File destrutturati che non vengono letti dai gestionali, listini fornitori in diversi formati, portali B2B che non parlano con l’Erp, magazzini scollegati e centinai di cartelle in locale. Tabelle per listini clienti senza formule e prezzi di prodotto calcolati sulla calcolatrice con il rotolo.

Siamo digitalmente indietro: perché?

Mettiamola così: se la Formula 1 della digitalizzazione fosse già in pista, noi – come settore edile – saremmo ancora al giro di ricognizione. Non è una critica, è un dato di fatto.

Mentre altri comparti hanno abbracciato (a volte anche con troppa foga) software, app, piattaforme e intelligenze varie, il mondo della distribuzione edile spesso arranca, trascinando con sé abitudini “analogiche” che ci fanno sentire al sicuro ma ci lasciano indietro.

E non parliamo solo di strumenti. Parliamo di mentalità.

Il rischio? Cercare “soluzioni spot” – il software della moda, il gestionale del cugino, l’app che promette di risolvere tutto – e ritrovarsi, dopo qualche mese, con più confusione di prima.

La resistenza principale è culturale: la frase “abbiamo sempre fatto così” pesa più di un bancale di cemento. Eppure, il cliente, il mercato, e talvolta la concorrenza… si muovono, cambiano, si evolvono. Se noi restiamo fermi, non è il tempo che si ferma: siamo noi che ci troveremo fuori pista.

La tentazione del bottone magico

Siamo onesti: quante volte hai desiderato di implementare un software capace di darti tutte le risposte con un solo click?

Peccato che la realtà sia diversa: il bottone magico non esiste. Se bastasse una licenza software a trasformare la gestione di un’azienda, i magazzini in Italia sarebbero oggi il paradiso dell’efficienza.

E invece no. Quello che vedo ogni giorno, parlando con titolari e responsabili della distribuzione, è ben diverso: digitalizzazione che rimane sulla carta, strumenti lasciati a metà, dati duplicati, personale frustrato. E, sotto sotto, una domanda non detta: “Dove abbiamo sbagliato?”

La realtà del settore: il gap da colmare

Il settore dell’edilizia e delle finiture – che si parli di magazzini di materiale pesante, legnami, cemento o showroom di arredobagno e pavimenti – è, diciamocelo senza giri di parole, ancora piuttosto indietro nella digitalizzazione.

Non è colpa di nessuno, sia chiaro. La tradizione pesa, i cicli di mercato non aiutano, e c’è sempre qualcosa di più urgente a cui pensare: clienti da seguire, fornitori che non mandano la merce, preventivi da spedire ieri.

Il risultato? In troppi casi, la tecnologia viene vista come una spesa forzata, o peggio: una moda da seguire perché “la concorrenza lo sta facendo”. E allora via di software gestionali acquistati di fretta, Crm lasciati a prendere polvere digitale, magazzini informatizzati solo a metà, mancanza di banche dati di prodotto davvero complete. Ma il vero motivo per cui molti non raccolgono i frutti della digitalizzazione è uno: non si è ancora fatto il lavoro che conta davvero.

Il metodo prima dello strumento

Qui casca l’asino, e con lui anche un bel po’ di investimenti. C’è una verità semplice e un po’ scomoda: prima di pensare al software, bisogna mettere ordine nei processi interni.

Come dice Gabriele Ottaviani, Amministratore di Kimo ed esperto di digitalizzazione nel settore: «Chi compra il software senza cambiare i processi, compra solo illusioni».

E io, dopo anni di lavoro fianco a fianco con imprenditori e responsabili del settore, posso solo confermare. Prima di ogni trasformazione digitale efficace serve fermarsi – e so che è una parola che fa paura, in un mondo che corre – per rispondere a una domanda fondamentale: «Perché voglio digitalizzare? Che problemi voglio davvero risolvere?».

Fare la mappa dei processi, capire come le informazioni si muovono in azienda, chi fa cosa, dove si creano rallentamenti o rischi di errore: è qui che si gioca la partita vera. Non servono ingegneri nucleari, né consulenze faraoniche: serve metodo, onestà intellettuale e – lasciamelo dire – il coraggio di guardare in faccia la realtà della propria azienda.

Esperienze concrete e casi pratici

Qualche mese fa incontro un imprenditore del Nord-Est. Orgoglioso del suo magazzino, con una sala mostra che sembra uscita da una rivista di design. Ha appena speso una cifra importante per un nuovo applicativo per la raccolta ordini, che gli ha proposto la software house del suo gestionale.

Risultato? Il software giace mezzo inutilizzato. Gli ordini continuano a passare per WhatsApp, i prezzi si prendono dal foglio Excel e l’aggiornamento dei listini arriva via mail tramite circolare, i clienti ricevono ancora risposte vaghe «Aspetti che controllo, le faccio sapere». Perché? Perché nessuno aveva mappato prima l’impresa per sapere come funzionavano davvero le cose. Il software non può risolvere problemi che l’azienda non sa nemmeno di avere. Può solo, nella migliore delle ipotesi, renderli più evidenti e, nella peggiore, nasconderli sotto nuovi strati di complessità.

All’opposto, c’è chi parte con metodo: si siede con la sua squadra, costruisce insieme la mappa dei flussi di lavoro, individua i colli di bottiglia, decide chi fa, cosa e come. Solo dopo cerca gli strumenti digitali che si adattano ai processi (e non il contrario).

Risultato? Tutti parlano la stessa lingua, il software diventa un alleato, non un nemico, e la digitalizzazione – finalmente – produce risultati veri: meno errori, tempi certi, più fiducia dei clienti.

Digitalizzazione: allenamento, non miracolo

Non mi stancherò mai di ripeterlo: la digitalizzazione non è un miracolo, è una palestra. Serve allenamento, serve costanza, serve voglia di cambiare davvero. Chi si aspetta che basti un’app, una password o un gestionale per vedere la rivoluzione, rischia la delusione più cocente.

La palestra della digitalizzazione inizia sempre dalle persone: serve spiegare perché si cambia, non solo cosa si usa. Serve ascoltare chi ogni giorno vive l’azienda, perché sono loro a sapere dove il processo si inceppa davvero. Serve ammettere che qualche passo falso ci sarà, ma è proprio così che si cresce.

A cross-functional team sketching digital workflows on a glass wall, sticky notes and diagrams overlapping under bright studio lights

La digitalizzazione rafforza le persone, non le sostituisce. Uno dei timori più diffusi nel mondo dei software per la vendita è che il digitale “spersonalizzi” il rapporto, tolga valore all’esperienza e al contatto umano.

Ma diciamolo senza giri di parole: il digitale, se usato bene, libera tempo ed energie da dedicare proprio alle relazioni vere. Meno telefonate per inseguire la disponibilità di prodotto, meno e-mail per chiedere se la merce è partita, meno carte che girano senza meta nei magazzini.

Il digitale – quello vero, non quello da vetrina – serve a togliere il superfluo, non il valore. Quando i processi sono chiari e supportati da strumenti efficaci, ognuno può dedicarsi a ciò che fa la differenza: la consulenza, il servizio, la capacità di risolvere problemi concreti per il cliente. È qui che si vince. La relazione umana non solo sopravvive al digitale, ma si rafforza: diventa meno burocratica, più incisiva, più “di valore”.

Chi ce l’ha fatta e chi ha fallito

Parliamoci chiaro: ci sono aziende che hanno investito fior di quattrini in software e piattaforme, convinte che bastassero per “fare il salto”. Risultato? Se non c’è metodo prima, il salto si trasforma in un buco nero di energie, soldi e aspettative.

Ma ci sono anche storie che fanno ben sperare. Penso a chi ha scelto di fermarsi, ascoltare, mappare i processi interni, coinvolgere i collaboratori, capire dove “si inceppa” davvero il meccanismo. Solo dopo aver fatto chiarezza, ha investito negli strumenti più adatti e non sempre i più costosi! Il risultato? Processi fluidi, team più motivati, clienti più soddisfatti, agenti che guadagnano di più, aziende che prosperano.

Non è magia. È cultura del metodo. E se serve una prova, basta guardare a quei distributori che, partendo da una visione chiara, hanno integrato gestionali, piattaforme di sales force automation, cruscotti digitali… e oggi riescono a governare il cambiamento anziché subirlo.

Non sono tanti, ma sono quelli che dettano le regole del mercato. Purtroppo, ancora oggi, nel 2025 nessuna azienda nasce davvero “digitale”. Non lo permette il sistema in sé. Si diventa digitali a forza di provare, correggere, riprovare. Il digitale non è una moda: è un modo nuovo di leggere la realtà, di prendere decisioni, di trattare con i clienti. E – diciamolo chiaro – chi non si allena, rischia di restare indietro per davvero.

C’è solo da chiedersi se siamo pronti a riscrivere davvero il nostro modo di lavorare? Perché digitalizzare non vuol dire comprare l’ultimo software consigliato dal commerciale di turno, ma prendersi la responsabilità di cambiare metodo. Scegliere di investire tempo (prima che denaro) nel costruire la mappa dei nostri processi, nel coinvolgere la nostra squadra, nel definire con chiarezza chi fa cosa e come.

Solo allora il digitale diventa un acceleratore e non un freno, un alleato e non un nuovo motivo di frustrazione. Solo allora il software smette di essere un’illusione costosa e si trasforma in ciò che dovrebbe essere: uno strumento potente, ma nelle mani di chi sa davvero dove vuole andare.

Quindi: smettete di chiedervi quale software comprare e cominciate a chiedervi quale processo migliorare. Fatevi aiutare da chi conosce il settore, ascoltate chi vive l’azienda ogni giorno, costruite la vostra mappa. E solo alla fine, scegliete lo strumento più adatto. Perché la vera innovazione nasce sempre da una domanda scomoda, non da una risposta ovvia.

*Direttrice e Formatrice de L’Accademia dello Showroom

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